Opera esistenzialista, nichilista, cruda e misantropica, "Al limite estremo" è il secondo romanzo di Arcybašev. L'autore vi affronta la grande questione del senso della vita, tentando di rispondere alla seguente, annosa domanda: essa ha un suo proprio, alto significato, o è dettata da un semplice istinto materiale di sopravvivenza?

La lettura del romanzo fa subito venire in mente "La nausea" di Sartre: vi aleggia lo stesso dolore, la stessa noia, la stessa palude. Tuttavia, se Sartre lascia filtrare una luce in fondo al tunnel per il proprio protagonista, Arcybašev qui è onesto fino al cinismo, e non fa sconti di sorta al lettore: nessuna speranza, nessun accenno di felicità, nessuna allusione a un altro destino, esiste solo la morte!

I personaggi che popolano "Al limite estremo" annegano in un'atmosfera di mediocrità e menzogna, avvertono il lancinante dolore della vita, costantemente riflettono sulla morte e sull'insensatezza dell'esistenza. La morte viene mostrata dall'autore più crudamente possibile. Dei dieci individui di cui si narra, tre muoiono di morte naturale e sette si suicidano. Pur non essendo interessato ai dettagli cruenti, Arcybašev descrive la morte così com'è: terribile, abominevole, sporca. Scrittore-psicologo, l'oggetto della sua ricerca è l'anima umana. L'analisi dei personaggi, magistrale, mette in scena meravigliosi ritratti, vivi nelle loro sofferenze, nei loro dubbi, nell'amore, nella noia, nella voglia di morire.