Quest'opera racconta una storia e costituisce una cerimonia. La cerimonia è quella "di liberazione" dalle catene mentali di un disturbo di natura ossessiva che affligge l'autrice e protagonista, qui battezzato Dipòc. La storia è quella, autobiografica, della giovane "maestra errante", che inventa racconti in rima per i suoi alunni, scrivendoli con la penna di Nentèud, la voce che le ricorda che niente è necessario, tutto è un dono e non si può né si deve far altro che esserne grati. Se lo scrivere questo libro è per la protagonista il principio della sua guarigione, non le basta però raccontare la sua storia per liberarsi davvero dalle catene di Dipòc. Deve viverla, questa storia. I suoi racconti le insegnano a godere dei doni della vita, ma non riescono a sopprimere il richiamo all'ordine di un Dipòc ignorato, che la spinge ora ad una nuova rinuncia, quella al piacere del cibo. Troverà, la giovane donna, la forza di dire di "no" all'ennesimo sacrificio e di abbandonarsi alla vertigine del desiderio?