Poesia filosofica, in cui il problema della dicibilità del mondo, e dell'adeguatezza dello strumento linguistico, si pone, giustamente, in termini assoluti, teologici ma non metafisici - perché Dio è l'unico che, in linea di principio, parla una lingua chiara. Ed è per questo che solo lui ci può mettere in quello stato di grazia , liberandoci dal peccato originale (ma un giorno / vedere laggiù d'oro / una mela) che provoca l'"estremo fraintendimento". Ma, se parlo è per divina / prerogativa perché io, in quanto poeta, posso aspirare alla chiarezza di Dio. E la lingua di Paolo Febbraro è limpida e austera, non concede nulla ai facili giochi dei poeti con la metrica, le assonanze o le rime. Febbraro ha la testa pulita e la mano felice di chi ha fatto della purezza il proprio impietoso modo di essere, e di scrivere. E allora la grazia della poesia tocca questo poeta al suo primo libro anche quando scende dall'empireo del pensiero per descrivere, per esempio, un angolo della periferia romana, come accade nella mirabile "Via Laurentina".