Si respira un robusto e ruvido senso del tempo nella parola poetica di Marco Zanatta.
E non sul versante del tempo come entità fragile e fuggevole, dunque inafferrabile. Versante che gli scrittori, peraltro, esplorano perennemente.
No, il tempo come entità dentro alla quale si vive. Spesso avvertendolo come una condanna, talora come una liberazione e perfino con qualche spazio di gioia.
Il tempo in cui respiriamo e siamo carne. Il tempo come liquido amniotico che avvolge e nutre. Ma anche nebbia in cui non sono più percepibili punti di riferimento accettabili. E come foresta, foresta dantesca.
Nella quale, in una determinata stagione dell'esistere, è facile smarrirsi ed essere aggrediti dalle belve furiose che l'anima stessa ha generato. Proiezione di paure e di oscure ostilità. Che sono la storia personale di ognuno.